La “caccia alle streghe” vede il suo acme nei sec. XVI e XVII, ma inizia ben prima e si conclude ben dopo. È un fenomeno terribile della storia di cui tracce evidenti si manifestano ancora oggi in almeno sette paesi nel mondo, come evidenzia l’allarme lanciato recentemente dall’Onu. Nella mostra Streghe nella notte. Roghi, torture, sterminio e un urlo di libertà non si ripropongono le migliaia di vicende di streghe presenti in una bibliografia sterminata, si cercano piuttosto i tratti salienti della “strega” nella storia, in una visione diacronica che trascende lo spazio e il tempo.
Dal duro confronto tra una donna “streghizzata” e l’inquisitore emerge il conflitto tra i valori autentici della strega vera in carne, ossa e spirito, e il quadro mistificato e deformato che ne fa la cultura colonizzatrice di matrice inquisitoriale. È il plurisecolare scontro fra la strega endogena e la strega esogena. Da qui il dolore dei vinti testimoniato dalle comunità rurali in rivolta e soprattutto dalle donne contadine e montanare, e la normalizzazione culturale (al fondo politica) imposta dai vincitori, che esportano nella società rurale arcaica regole e valori alieni per un mondo originariamente comunitario, pagano e spiritualmente legato alla natura e ai suoi molteplici fenomeni.
Povertà e fame, pane avvelenato e psichedelico, sostanze psicotrope assunte involontariamente o sapientemente con le erbe, disegnano il quadro di una spiritualità e di un pensiero “altri” con cui la città modernizzatrice deve fare i conti e che intende abbattere con ogni mezzo, tra cui i processi, le torture, le prigioni e i roghi.
Il coraggio delle umili donne che per secoli resistono in nome della propria identità spirituale al violento colonialismo delle forze che imporranno la modernità, è molto spesso un coraggio silenzioso – che non può competere con le molte parole usate dai “dotti” che le accusano – ma non per questo meno irriducibile e luminoso. E questo coraggio silenzioso è eminentemente femminile, poiché gli uomini che si ribellano alla “polis” combattono e muoiono sui campi di battaglia. Loro no, le donne tacciono ma guardano i vincitori con lo sguardo della Medusa, lo sguardo che silenziosamente incenerisce il nemico, il quale non sa più (o non ha mai saputo) chi e cosa sta combattendo perché non sa riconoscere e non sa definire gli universi spirituali e culturali che quelle donne portano con sé e non abbandoneranno mai neppure di fronte al più terribile degli epiloghi, la morte.
Alla fine, un intero mondo viene abbattuto, eppure il fascino di quel mondo incarnato soprattutto dalla strega, rimane: sottotraccia, latente, ancora misterioso. E ci chiama a ripensare a questa vicenda umana che ha visto decine di migliaia di donne vittime dilaniate e deturpate nel corpo, violentate nell’anima. Donne alle quali ci lega ancora un sentimento di pietà e gratitudine, che ci spinge alla comprensione, che in fondo è comprensione del nostro oggi.
La mostra è costituita da 52 pannelli 60×42.