Descrizione
Lavorando lungo due binari, quello degli avvenimenti (frutto sia delle ricerche d’archivio, sia delle interviste) e quello della memoria, l’autrice valuta i fatti e i ricordi gli uni alla luce degli altri, in una visione caleidoscopica che consente di arrivare a significative conclusioni.
Dai racconti dei testimoni emerge un atteggiamento di rassegnazione degli abitanti di Boccioleto nei confronti del fascismo, visto come una forza alla quale era impossibile opporsi, subita dai più e che restò sempre in superficie, senza penetrare mai nel profondo del tessuto sociale. Quando scoppiò il conflitto, tutti partirono, convinti di non potersi sottrarre al proprio destino, per combattere una guerra che non capivano e che non condividevano, vissuta come un’assurdità.
L’8 settembre 1943 è ricordato dai testimoni con dolore e con rabbia: molti furono fatti prigionieri dai tedeschi; chi riuscì a tornare a casa, per la prima volta si ribellò al potere costituito, imboscandosi quando la Rsi cercò di formare un suo esercito.
Allo stesso modo si opposero alla Repubblica sociale le nuove leve, che non risposero ai bandi di novembre e di dicembre ma che, in primavera, viste le intimidazioni alle famiglie da parte dei nazifascisti, si presentarono al Distretto militare. Furono pochi coloro che scelsero l’insurrezione armata.
Durante la guerra in paese la vita continuò a fluire con gli stessi ritmi. Nonostante le tante partenze e i mutamenti politici, il tessuto sociale non si lacerò mai e Boccioleto, nel suo complesso, fu capace di sopportare tutti i disagi e di andare avanti con una certa stabilità.
Secondo le testimonianze, invece, coloro che avevano vissuto la guerra in prima persona uscirono dal conflitto tutt’altro che indenni: tornarono a casa con un pesante bagaglio di emozioni dolorose cui dare sfogo, ma furono presto indotti al silenzio, perché il paese voleva dimenticare e tornare ad una vita tranquilla.
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