Descrizione
Il catalogo raccoglie un’ampia selezione di immagini che compongono la mostra omonima, realizzata dall’Archivio fotografico Luciano Giachetti – Fotocronisti Baita e dall’Istituto, con la compartecipazione del Comitato della Regione Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana e l’Amministrazione comunale di Vercelli.
Nel 1946 i Fotocronisti Baita seppero inquadrare con acutezza le varie componenti di una città che era chiamata alla grande svolta politica e referendaria, al proprio riassetto amministrativo, a un lento reinserimento nel mondo del lavoro, al desiderio corale di sostituire la disillusione con l’aspettativa.
Esaminando il materiale scattato nel ’46, occorre fare una distinzione tra gli scatti dedicati alla vita istituzionale e amministrativa e quelli rivolti a un’ampia descrizione della società; nel primo caso – complice la committenza giornalistica rappresentata principalmente da “L’amico del popolo” – vi è difformità quantitativa tra i servizi fotografici collegati alla sinistra e quelli riguardanti le restanti forze di governo. È comunque necessario sottolineare che, al di là delle ragioni determinate dall’affidamento degli incarichi, sullo sbilanciamento politico dei fotocronisti pesò l’esperienza partigiana vissuta nelle brigate “Garibaldi” di ispirazione comunista; basti pensare che, fino al 1948, anno in cui si interruppe il sodalizio fra i due, Giachetti e Ferraris timbrarono le loro fotografie con i nomi di battaglia “Lucien” e “Musik”. Nelle fotografie di comizi affollati, di manifesto consenso, di personaggi passati dalla clandestinità alla vita pubblica, fino a quelle scattate per educare i vercellesi al gesto del votare, si ravvisa – e si legittima, in fondo – il compiacimento dei due giovani fotocronisti nel rintracciare gli esiti concreti della lotta anche ideologica sostenuta durante la Resistenza.
Di una completezza eccezionale, invece, le immagini che tratteggiano il profilo sociale della città e del suo territorio, generate – come si è già premesso – da una pratica fotografica rinnovata nel linguaggio e nei contenuti.
In questo vasto ed eterogeneo insieme, il nucleo più importante è rappresentato dalle fotografie di lavoro: la ripresa delle attività produttive dopo la tragica parentesi bellica spinse i fotografi a intraprendere una vera e propria ricognizione delle realtà occupazionali vercellesi. A tale proposito, su tutte, vanno ricordate le ricche sequenze dedicate alle mondariso, lavoratrici che, durante il regime, accumularono un pesante credito con la fotografia. Protagoniste negli anni trenta di coraggiose battaglie contro le riduzioni di salario, figure al tempo stesso incompatibili con la politica di sbracciantizzazione ed essenziali al funzionamento della produzione risicola – incentivata poiché meno costosa dell’importazione del frumento – le mondine comparvero sporadicamente nelle immagini dittatoriali. Il risveglio realista, nel dopoguerra, decretò la loro reintroduzione nel panorama fotografico: Giachetti e Ferraris, proprio a partire dal 1946, le affiancarono per anni, fino alla loro progressiva scomparsa, registrando con rigore – e senza scadere nella facile rappresentazione oleografica – le loro difficili condizioni di vita.
Accanto alle immagini di lavoro, si dispone una lunga teoria di scatti riservati al faticoso ripristino della normalità e al graduale dispiegarsi di un temperamento territoriale imbrigliato dall’omologazione fascista. L’obiettivo dei Fotocronisti Baita esplorò capillarmente la vita dei vercellesi – dal tempo libero allo sport, dalle condizioni esistenziali alle espressioni di fede religiosa – insistendo più sui microeventi generati dalla quotidianità che sulle manifestazioni corali. Quasi a voler compensare, dopo gli anni terribili appena trascorsi, il frastuono con i toni pacati della conversazione intima, i contorni netti dell’uniformazione con la varietà delle sfumature, l’eccezionalità che scardina con la consuetudine incoraggiante, soffermando lo sguardo su soggetti a cui la fotografia si apprestava a riconsegnare fisionomia e dignità.
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