Descrizione
Il volume, edito in coedizione con l’Archivio fotografico Luciano Giachetti – Fotocronisti Baita, raccoglie le immagini scattate durante i giorni della liberazione di Vercelli da Luciano Giachetti e Adriano Ferraris, i partigiani “Lucien” e “Musik”.
Rientrare in città, assumerne il controllo e imporre la propria legge, prima dell’arrivo del governo militare alleato, doveva far sentire ai giovani partigiani vercellesi un’emozione particolare: spinti ad abbandonare case e famiglie per non doversi arruolare nell’esercito repubblicano e continuare la guerra di Hitler, costretti a sospendere i propri progetti esistenziali e intraprendere la via delle montagne, in ambienti sconosciuti e percepiti tradizionalmente come ostili a chi proviene dalla pianura, avevano conosciuto la morte nei compagni caduti, la sofferta precarietà di una guerra senza certezze né conforti.
Ora potevano tornare, insieme a quelli con cui avevano condiviso mesi di lotta clandestina. Le strade verso Vercelli tra il 25 e il 26 aprile erano percorse dalle lunghe file delle squadre partigiane che provenivano dalle montagne biellesi, dalla Valsessera alla Serra; lungo il percorso volti sorridenti di donne, anziani, bambini che percepivano l’imminenza del ritorno alla vita pacifica.
Le immagini ci parlano di una primavera della storia del nostro Paese dopo l’inverno della guerra e quei lunghi cortei trasmettono l’idea di un popolo che si è messo in marcia verso il traguardo della libertà dall’invasore straniero e dalla dittatura fascista.
La liberazione di Vercelli ha un senso particolare: la città, assurta al rango di capoluogo di provincia e dunque riferimento politico privilegiato del regime, pur mantenendo nel suo tessuto una forte opposizione incardinata particolarmente in alcuni quartieri, con le sue istituzioni civili e militari si offriva come un simbolo del fascismo.
Le vicende successive al 25 luglio avevano scalfito solo parzialmente questa immagine e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, mentre si organizzava una rete di solidarietà ed assistenza ai prigionieri alleati del campo fascista Pg 106 che fu il primo banco di prova della Resistenza, i tedeschi si erano manifestati a Vercelli più rapidamente che altrove e nel giro di poco tempo il distretto militare, dove avrebbero dovuto presentarsi i richiamati alla leva dell’esercito repubblicano di tutto il Piemonte nordorientale, e il carcere di Vercelli, dove furono rinchiusi partigiani, loro familiari e antifascisti di tutto il territorio, sarebbero diventati i luoghi più tristi nell’immaginario di tutta la provincia.
La liberazione di Vercelli non fu soltanto un atto insurrezionale inscritto nei piani d’azione del movimento partigiano; fu, sul piano simbolico, l’ultimo passo nell’inversione di marcia rispetto alla strada senza uscita in cui i fascisti avevano cercato di infilare l’Italia continuando la guerra con i nazisti.
Ricordando quegli eventi non sarebbe giusto ignorare che il 26 aprile e i giorni seguenti furono giorni di sangue, versato su entrambi i fronti e per mano di soggetti opposti, e di vendette che non sempre avevano motivazioni politiche: la pietà che si invoca per tutti i morti ci impone di ricordarlo, anche per evitare di trasmettere il racconto del percorso verso la liberazione come una favola, anziché una tragedia. Alcuni fra quei partigiani stremati e sorridenti che entravano in Vercelli di lì a poco si sarebbero trasformati in giustizieri di nemici; qualche anno dopo, a sua volta, la giustizia della Repubblica italiana li avrebbe portati quasi tutti alla sbarra, condannando con il carcere preventivo anche molti che sarebbero stati poi assolti in sede processuale.
Giova ricordarlo di fronte alle amnesie strumentali di chi non ha mai smesso di processare la Resistenza, a proposito della quale, Norberto Bobbio, in occasione del ventennale della Liberazione celebrato al Teatro Civico il 14 novembre 1965, disse con parole che risuonano convincenti e che condividiamo: “La Resistenza ha rimesso la storia d’Italia nella storia del mondo, ci ha fatto di nuovo procedere all’unisono col ritmo con cui procede la storia delle nazioni civili”.
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